Gran Torino

Gran Torino è un capolavoro. Poesia pura, dove Eastwood effonde la sua maestria come protagonista e regista, dirigendo molti attori alle prime armi.
Forse l'unico film dove lo si vede piangere lacrimando e non a caso. La storia è straziante, partendo dalla durezza di un uomo che non si può perdonare per avere ucciso in guerra. Il suo razzismo, soprattutto verso gli asiatici, è una difesa, una facciata costruita per arginare il rimorso di avere ammazzato ragazzi in Corea, gente che si stava arrendendo. Per questo, i cinesi che stanno popolando il suo quartiere, gli offrono una possibilità di redenzione.
Walt Kowalski ha appena perso la moglie, ma anche il rapporto con figli e nipoti, che certo hanno filosofie diverse dalla sua: veterano, operaio per una vita alla Ford, dove egli stesso ha montato lo sterzo della Gran Torino che poi si è comprato e gli viene invidiata, fieramente, da tutti. Ma il suo erede avrà un altro sangue.
Il personaggio sanguigno impersonato da Eastwood sorprende, per come decide di avere il proprio riscatto, onorando la memoria della moglie, delle sue vittime e sacrificandosi per i suoi nuovi amici cinesi.
Le parole nel giudicare i film sono un po' uno spreco: i testi che il cinema (quello vero) vuole, sono le sceneggiature e quella di Gran Torino è deliziosa, strappando spesso risate fragorose per le battute caustiche. Perciò, non saprei dire altro che "Grazie, Clint".

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