solitudine maschile

La solitudine di un uomo sembra poter contare su una condizione più vantaggiosa: per dire, un tizio che mangia da solo in trattoria non dà nell'occhio, una donna sì. In un attacco di solitudine, con l'insopprimibile sensazione di soffocare, io posso uscire nel profondo della notte e camminare nella periferia milanese, senza temere più di tanto - anche se la mia percezione di sicurezza, con la recessione, si è molto abbassata.
In realtà è un po' una sconfitta che un uomo possa stare "benissimo" solo e una donna no. E' soprattutto una condanna di questo vivere sociale che una donna non possa camminare nottetempo senza avere timore.
Ho potuto stare di guardia nel buio in un campus, un magazzino o un dormitorio, perché sono maschio. Impensabile, per una donna.
Un uomo solo e che magari beve fa tristezza, ma la visione di una donna è più inconsueta. Una protezione allo scandalo, un carcere mentale. In "La finestra sul cortile" rispetto all'omicidio della donna si può congetturare, supporre e il film procede ma, di fronte alla donna del piano terra che beve solitaria, finendo a piangere, sembra incombere un'impotenza infinita, lucida negli sguardi addolorati dei due protagonisti. Un'ineluttabilità acuita quando lei cerca tenerezza e finisce picchiata da un nuovo "amico". 
La difficoltà di pensare cose inedite viene da un modo di vivere che è stantio, sedimentato, apparentemente resiliente. 
La "fortuna" di potermi aggirare come un randagio nella notte, arrancando in una città che mi è stata rubata, stuprata, resa ignobile, di suo non mi regala molto. Come se mi aggirassi in un cimitero, perché la cassa è chiusa. 
E' così facile sentirsi male qui. Alla fine della strada, c'è sempre il solito, opaco, pesante asfalto che sembra essere la cosa più lontana da un cuore ed io ho pure il dono di essere uomo nella solitudine.

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