Il signore e la Damina

    La bruma si addensava appena fuori il portone tra le mura. Poco oltre, celava l'orizzonte, uccidendolo di bianco. Il fiato del cavallo sembrava tributare una gabella a quel nulla, questo mortorio. Scostava il muso nervoso, poco incline al partire. Voltandosi verso di me, sembrava domandarmi se lo volessi davvero. E poi venne lei. Capelli fino al cuore, quel colore così amato, il sorriso che la faceva splendere, attanagliato in una mascella dura, ostile, delusa. Solca la corte con passo combattivo, picchiando la gonna, vascello proiettato all'assalto, seguita da due donne, i cannoni delle sue orbite puntati verso di me.
Mi raggiunge e il destriero, come a dirle la mia follia, si scosta e, vinto lo sbalzo, lo riporto diritto. La dama ha sfidato persino gli zoccoli, nel coraggio di volermi catturare, gli occhi saltano dal mio viso a un futuro che presente, le pupille oltre di me, che si estendono tanto da sbarrarsi, prima di scomparire sotto le palpebre. E di nuovo quelle lance a mirarmi.
"Dunque partite...". La sua voce mi arriva in un sibilo. In silenzio, chino il capo. Mi risollevo, ancora i suoi due dardi, puntati sulle mie labbra.
"Dovrei dirvi di fare attenzione a quello che troverete. Vorrei celarvi quello che sente la mia pelle, e quanto le mancate..."
Il cavallo scarta ancora, lo fermo e torno al viatico.
"So che non servirà, ma vi chiedo ad ogni ragione se non possiate rinviare la partenza".
Ingoio la voce, prevengo qualsivoglia cedimento.
Si avvicina frusciando con la gonna, appoggia la fronte sul mio ginocchio, le mani mi circondano la caviglia e sospira. Bacia la rotula, la accarezza e sussurra: "Ogni vostra piccola parte, ognuna.... Un diadema, una moneta del tesoro più grande che abbia mai posseduto..."
Imperla di lacrime, oramai, la mia gamba. Appare lanciarsi nel pianto, ma si arresta. Le labbra tremano come se non potessero che nutrirsi delle mie. Così mi piego verso di lei e tendo la bocca. Bacio la sua, un istante incommensurabile.
Isso il busto, abbandono quel calore umido, morbido. La statua riapre lo sguardo e usa diverso tempo per riafferrare quel vero, preludio di un non essere, più.
Ritrova la voce dopo attimi immensi. "Se solo sapessi che voi tornerete... Vi avvertirei a pensarmi ogni momento, come una fata che disegna il cammino e il suo ritorno. Vi inviterei a tenervi desto e a farvi certo della guardia del vostro seguito. Vi esorterei a non temere l'onta della fuga, perché io, io vedrei solo un salvarvi, un desiderio di ritrovare le mie spalle, su cui arrendervi, il mio seno su cui adorate addormentarvi..."
Mi volto, gli uomini sono altrettanto innamorati, ma della loro sopravvivenza. Torno a incantarmi per l'ultima volta, su quella donna in fiamme.
"Se solo avessi una parola per fermarvi... Ma non la possiedo. Andate dunque e... E..." Si abbraccia nel pianto, i capelli crollano sul petto; subito sorretta da una dama, e poi da un'altra, la scortano fino alla porta ma lei non rientra, mette all'ancora i piedi, si libera dalle due riprendendosi le braccia, per guardarmi ancora, mentre le sue lacrime saettano a rincorrermi, invano.
Stringo gli occhi, apro la bocca ma non esce alcun suono. Il mio respiro vaporoso mima il mio imperativo a partire, mentre do di sperone per iniziare il moto. Riapro gli occhi e sono, siamo al di là del portone, i cavalli con un passo funereo, all'unisono coi cuori dei miei sventurati compagni. Non mi volto, ma sento alla schiena le ferite di tutta lei stessa, mentre mi tempesta di ultime, disperate occhiate, che detonano in singhiozzi indimenticabili. Le lacrime scendono a carezzarmi, tentando il possibile. Non mi nutrirò più della sua presenza, sono un non-vivo.
Forse in un'altra vita, o forse ero il palafreniere. O può darsi, che lei non sia mai esistita. Oppure, si tratta solo di un volo pindarico...

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