In bici

Ci ho messo molto a capirlo, ma per me bicicletta signifca soprattutto mio padre. Lui mi insegnò ad andarci, lui mi contagiò nella passione per ciclismo e corridori, vale a dire Giro, Tour, Coppi, Moser, Bugno...
La bici di mio nipote!
Ho imparato presto che la bici è una delle cose con un po' di valore più facili da rubare: a 6 anni mi fregarono la prima. 
A un certo punto il velocipede è stato il mio unico mezzo di trasporto: per un paio d'anni, in cui facevo l'assistenza domiciliare, mi muovevo da una casa all'altra in due ruote. Ci portavo anche le spese, anche quella per casa mia... A volte alla sera ero spezzato in due dai crampi, ma non avevo speso sghei in autobus né mi ero roso una sola cellula epatica per gli inevitabili ritardi. Mi ricorderò sempre lo stupore allegro di un assistito, il protagonista del racconto qua sotto, quando un giorno mi presentai da lui nonostante la neve. D'altra musica, mi aveva regalato la sua bici, lui ormai non poteva più usarla... Ma più che eroico ero un vero folle: quando arrivavo al ponte della Ghisolfa aspettavo che stesse per scattare il verde e poi mi lanciavo giù, a capofitto, in mezzo alle macchine.
Se ho smesso di andare in bici, non è perché a un tratto mi sono stufato di vedermele rubare, belle o brutte che fossero - e sì che in quel periodo me ne fregarono quasi una mezza dozzina. Muhammad Ali iniziò a boxare proprio dopo che gli avevano fregato la bici. Andò a denunciare il furto alla polizia ma mentre un agente lo imboniva, facendogli intuire che per lui, ragazzino dalla pelle scura, non c'era alcuna speranza di giustizia, si accorse guardando la finestra che a fianco del commissariato c'era una palestra di boxe. Ci si iscrisse pensando di tempestare di pugni il ladro della sua bici, ma, a distanza di anni, rideva dicendo che avrebbe voluto ringraziarlo, perché forse senza quel furto non si sarebbe dedicato al pugilato.
Comunque, se non vado più in bici è per non rischiare la vita. Non me la sento più, non trovo più il coraggio per andarci. Ai tempi indossavo una casacca rossa, del colore del pallone che si usa nel calcio quando c'è la neve in campo. Però si vede che non era sufficiente, se non mi evitò di finire quasi sul cofano di un'auto. Un'altra volta che un tipo stava per investirmi, uscendo da un carrabile e io, per evitarlo, inchiodai rischiando la castrazione, quando costui, probabilmente rassicurato dal vedermi vivo, mi fece il gesto di levarmi dai cosiddetti, brandii la bici e feci per lanciargliela addosso. Lui naturalmente non scese dall'auto e il ciclo rovinò pesantemente a terra. Ma dovevo pur sfogarmi: poi arrivò un vigile, anche lui in bici, che aveva visto la scena. Mi disse di calmarmi per non finire in torto e fece defluire via il pezzo di sterco che mi aveva quasi investito. Infine mi spiegò che mi capiva, che nonostante la divisa su ruote e corpo anche lui rischiava spesso di farsi arrotare.
Questo post era per il blog "serio", volevo scrivere sull'insicurezza di andare a piedi e in bici a Milano. Ma poi mi sono accorto che era più intimo, da retrobottega. Si parla molto della cosa perché un ragazzino di dodici anni è stato investito mortalmente mentre pedalava dietro la sua mamma in via Solari. E' una cosa tremenda. Ma a Milano si muore in bici. E anche a piedi. Temo che sarà così ancora per tanto tempo, anche se costruiranno finalmente delle piste ciclabili (Be' dài, è bello credere che le faranno...). Sono cose che succedono, quando una città è votata principalmente a una sola cosa: i dané...