"Ci devi chiamare barboni!"

L'esperienza avuta nel dormitorio comunale di Milano mi ha segnato parecchio. Perciò ne scrivo qui, nel retro dell'esercizio, scuro più protetto dove capita qualche raro passante.
Mi fa molta rabbia lo sciacallaggio politico sui senza dimora. Di freddo si muore e quelli di prima e questi di adesso (a Milano intendo) si fanno belli sul dolore degli altri, senza nemmeno tentare di dare una risposta concreta.
In Ortles ho lavorato per quasi un anno. A un certo punto mi sembrava di essere Michele Placido in "Mery per sempre". Il che potrà anche essere paranoide e infatti non avrei rischiato la pelle nelle frequenti risse. Però questo mi dava una forma di rispetto da strada, sia dei pernottanti che dei secondini, no, scusa, volevo dire "comunali". Velo pietoso.
Gli "ex ricoveri notturni" mi sembravano un carcere, ma senza sbarre, con dimoranti semiliberi. Quando al mattino gli "ospiti" uscivano, quel postaccio mi pareva inutile. Tutti quei vecchi muri, costruiti male, con un sacco di sabbia - e ristrutturati peggio, mi apparivano giganteschi. Eppure senza muri non si può vivere: muri veri, belli solidi che a prenderli a schiaffi ti rispondono in modo robusto.
Mio padre, nella Milano di fine boom, andava in giro certe sere a offrire, a chi vedeva dormire per strada, proprio dei muri: quelli del suo negozio. Qualche brandina, qualche coperta, al limite il pavimento ma con qualcosa in mezzo per sentirlo di meno. Al mattino papà si alzava, ringraziava e salutava gli ospiti. Magari a qualcuno offriva una moneta, un caffé, un cornetto. Volontariato. Utile.
Potrei scrivere un libro su "la casa dell'Accoglienza" ("...Che bello quando li buttavamo giù dalle scale, come rotolavano! [Risata sguaiata della comunale]..."; "...Ci devi chiamare barboni! Barboni! Questo siamo!") ma voglio ricordare una persona, un pezzetto della sua storia (e della mia) dentro quel carnaio. E anche un'ammissione di colpa.
Singolare termine per i senza dimora, in Ortles c'era la questione degli abusivi. Persone che "non avevano diritto" a dormire, perché era scaduto il periodo accordato dalla sociale, perché allontanati per qualche mancanza e così via.
C'era un uomo maghrebino, coi capelli quasi bianchi, un tipo dallo sguardo da lupo famelico, che aveva dormito in Ortles l'anno prima. Ora si divideva tra il dormitorio e lo scalo Romana. Probabilmente si arrangiava "senza legge, in nome suo". 
All'inizio fu la mia bestia nera: veniva tutte le notti fredde e ormai il personale non voleva saperne di cacciarlo; non tanto per pietà quanto per la scocciatura, la paura di un eventuale coltello - ma poi ce l'aveva? - e non da ultimo pure la vergogna di dover ammettere di aver fatto male i cani da guardia.
Insomma, all'inzio lo cercavo sempre. Lui giustamente si comportava male ed era più facile odiarlo. Poi ho capito, grazie a un comunale tanto comprensivo quanto fifone: quell'uomo era sicuramente malato, era molto magro ma non perché gli mancasse il cibo. Ho pensato che c'ero ricascato, le regole e l'anarchia, il freddo e un po' di calore. Allora ho fatto finta anch'io di non vederlo. Lui non rubava il letto a nessuno, ne trovava uno vuoto (ce n'erano parecchi ogni notte) e ci s'infilava vestito. Lo vedevo magari al mattino lavarsi o già uscire con la sigaretta innestata e lo guardavo quasi festante: ce l'hai fatta, anche stanotte, sei la primula rossa di Ortles!
Una volta però stavano arrivando a commando quelli delle pulizie, sorta di kapò, per il ruolo infame svolto: chi rubava a degli ultrapoveri, chi non puliva bene, chi s'imboscava, chi sporcava (!) per poi pulire per evitare un sano licenziamento, chi spacciava ma soprattutto delle luride spie per tornaconto personale. Lui, il maghrebino, quella mattina se l'è vista brutta: sapeva che quelli non scherzavano, che la mia divisa valeva meno della loro. Così gli ho detto di correre verso una porta, dove l'ho raggiunto e l'ho fatto scappare da un sotterraneo; la pantomima avrebbe salvato entrambi ("Avete visto? Mi è scappato all'improvviso, lo stavo rimproverando e..."). Lui prima di andare ha avuto solo un attimo di esitazione per non dovermi ringraziare e chiedere "Perché". Domanda inutile. 
Ma alcuni ospiti ci avevano visti e un giorno uno la domanda me l'ha fatta. Perché aiutavo un abusivo? Le scuse erano tante e buone: alla fine tutti lo tolleravano, chi ne aveva paura e poi io, proprio io! dovevo andare a scoprire se avesse davvero un coltello? Lo straniero probabilmente annusò il falso di una risposta pseudo-istituzionale. Deve però anche aver sentito un certo odore nel mio parlare, una specie di.... profumo d'umanità.

Regalagli una coperta, così si ricorderà di te nel gelo. Regalale un sacco a pelo, la sua montagna è il marciapiede. Regalagli pure un bel vestito, così bello da poter essere l'ultimo. Dona un libro, da leggere se non tremeranno troppo mani e occhi bagnati. Grazie per dischi e film, che non potranno mai gustare: senza un tetto, un letto, una porta e il calore per muovere il sangue, come masticare cultura? Grazie per esserti lavato la coscienza e mi raccomando, regalagli un secondo di silenzio, quando leggerai della sua tomba per strada.         GP