The Man in the White Van (2024)

"The Main the White Van" è un film che merita di essere guardato. Non solo perché è dedicato all'orgnizzazione no profit "National Center for Missing & Exploited Children", che si occupa di prevenzione e riabilitazione delle vittime, ma è tutto rivolto a un tema atroce, e nel finale scorrono le centinaia di nomi di minori scomparsi in America, sulle note e le immagini di registrazione della canzone finale, "Hope is why we are here", di Barry Coffing, che l'ha composta per celebrare proprio il NCEC. 
L'idea di questa produzione è innovativa, perché pur basata su una - terribile - storia vera, non cerca di documentare soltanto o di rimanere sul punto di vista del killer, ma lo fa da quello di una sopravvissuta, Annie, una tanto giovane quanto eccellente Madison Wolfe. che interpreta una Final Girl, la quale non viene creduta mentre si dibatte nelle esperienze tipiche dell'adolescenza e si ritrova nel mirino di qualcosa molto più grande di lei.
Le recensioni non entusiaste forse sono dovute al fatto che il bravo regista, Warren Skeels, proviene da una serie reality, certo classista visto il censo dei protagonisti, in cui intervista dei ragazzi un po' come Pasolini in "Comizi d'amore". E appunto qui la scelta di narrare partendo dalla visione personale di una potenziale vittima è geniale, oltre a una delicatezza estrema a raccontare i vissuti di giovanissimi che si affacciano alla vita. Compreso il rapporto conflittuale con la sorella di Annie, Margaret, Brec Marie Bassinger, che è tanto abile a mostrarsi frivola quanto drammatica.
Qualcuno storce il naso al film anche perché il serial killer, William Mansfield Jr., non viene messo in primo piano, ma appunto è come non onorarlo nemmeno di un ruolo, tanto che il suo viso non si vede mai. Il che fa pensare, insieme alle scene nei titoli di mezzo, che ci sarà un sequel, e Skeels si è detto interessato ma più a un lavoro documentarista. Cresciuto nella "weird Florida", dove negli anni '70 i serial killer erano molti, a sua volta è stato inseguito da auto e furgoni, quando era un ragazzino. E lo capisco, visto che mi è accaduto da liceale - e solo un'idea presa da "French Connection" mi aiutò a scamparla, ma questo è un altro tema, anche se amo il cinema proprio perché mi ha, temo, salvato la vita.
In realtà il furgone bianco è solo un pretesto, non è indicato che quel bastardo di Mansfield lo usasse, ma in America negli anni '70 era proprio un simbolo di rapimenti e scomparse di minori. 
La scrittura insieme a Sharon Cobb ha saputo inventare una storia in parte fittizia, ma molto credibile e certo allarmante. Billy Mansfield, con la complicità del fratello, ha rapito, molestato, torturato, violentato e ucciso almeno 5 giovani ragazze, ma si sospetta che abbia fatto molte più vittime. Il film ha il merito anche di tornare a parlarne perché chissà che altre innocenti possano avere giustizia. La stessa per cui Mansfield ha cinque condanne a vita e uscirà dal carcere solo in una bara.

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