Cellphone (2023)

 Uno dei motivi per cui non scrivo da tempo è che non riesco a vedere un bel film da mesi. Sarà che sto vivendo molto male, ma difficilmente ho gustato un lavoro come "Cellphone", che mi è piaciuto così tanto che lo riguarderei adesso.
Il telefonino è un oggetto molto drammatico nel cinema e anche spaventoso negli horror. Infatti, questo pregevole indie movie - che perciò ha un marketing atroce che lo renderà poco visibile - è una tragedia ambientata nella paura.
Intanto, vede la partecipazione di un grande attore come Malcolm McDowell, "Bob" , presente solo con la voce, magistralmente declinata su un accento americano e un tono davvero "creepy". 
Poi, Whitney Rose Pynn, interpreta la protagonista Wynne, tanto divertente quanto stranamente affascinante, ma capace anche di essere, quando si svela il mistero, ruvida.
Il film possiede registri poetici, con la fotografia di una campagna dell'Ohio deliziosa, sfondo appropriato per l'altro timbro, dominante, psicologico. Si parte proprio da un DPTS (PTSD in inglese), fossilizzato in un terribile senso di colpa. Così Whitney Rose Pynn, Chris, assume le vesti di un saggio guaritore. Un pazzo, ma i suoi discorsi, come le sue apparizioni, sono filosofiche e buffe. E Jared Noble, Liam, completa le tinte rosa del film.
Ho letto critiche impietose, e qualcuna invece entusiasta, perché "Cellphone" è un film commovente, se non straziante, ma anche spaventoso. Il soprannaturale c'è, perché il fantasma del film è un mostro, è oltre la realtà, ma ben presente.
Già solo la suoneria del telefonino, quando si sente, è raccapricciante, unita a un uso dosato e saggio della musica - e in qualche modo è vero che i cellulari facciano vedere oltre. In fondo, sui nostri display clickbaiting, meteo, news e quant'altro cercano di anticipare il futuro, e per appunto catturarci, spesso in modo catastrofico e terribile, tra disastri ambientali, guerre, tasse, malattie, cibi e abitudini che portano proprio, guarda un po', alla morte. Anche se, come la vecchia cassetta di training autogeno spiega in una scena del film, le paure riguardano il futuro, ma noi viviamo nel presente.
La sceneggiatura di Rachel Sommer per me è delicata e precisa, e con la regia di Luke Sommer (e, alla Addams Family, altri Sommer sono nel progetto), il film cattura, emoziona, spaventa e in poche parole, è un momento di alto, vero cinema. 
Infine, questo pregevole lavoro è dedicato a David Thurston, artista, scultore (ricordato con una scultura a filo nel film) e entusiasta del Gospel, recentemente scomparso.

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