The Most Beautiful Island (2017)

 Il talento di una donna può essere incredibile. Lo è quello di Ana Asensio, al suo debutto alla regia di questo film, di cui è protagonista, sceneggiatrice e produttrice. "The most beautiful island" è stato premiato in diversi concorsi. Asensio, dopo aver lavorato per anni in fiction spagnole, aveva il desiderio di passare dall'altra parte della macchina da presa. Che non è solo un modo di dire, visto che il film è girato su pellicola e in super 16. Questo dà un'immagine grezza, quasi documentaristica, e un costo maggiore, che per un film indipendente è gravoso.
La più bella isola sarebbe Manhattan, e il racconto copre un arco di 24 ore. La storia è ispirata a un fatto vero e Ana racconta di essersi trovata davvero in una situazione di pericolo, una sera, senza telefono, nell’illegalità e senza che nessuno sapesse dove si trovasse, con l'aggravante di essere un'immigrata - che nel film si chiama Luciana, è spagnola e non ha soldi, né documenti. Ma tali sono anche le altre ragazze del gioco macabro del film, che vengono seguite in apertura aggirarsi in una New York i cittadini della quale meravigliosamente non si curano di una cinepresa: tutti fanno la loro vita quotidiana per cui non occorre una candid camera per riprendere i loro suoni, colori, la loro energia.
Il film ruota tra una prima parte attendista, alla luce del sole e all'aperto, malinconica, sfortunata, che ben prepara la tensione incredibile della claustrofobica porzione successiva. 
Un grande lavoro, godibilissimo come horror nel senso di quello più tragico: la realtà, senza alcun elemento soprannaturale.
Asensio ripensava alla New York che vedeva in film come "Taxi Driver" e "Midnight Cowboy", ma il finale sospeso fino a che l'attrice scompare, con quel buio sgranato mi ha fatto ricordare la modalità usata da Eastwood in molti suoi lavori.

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