M3GAN

 M3GAN è un film potente. A metà strada tra il sottogenere "Crazy Dolls" e "Blade Runner", il film salta questioni di realismo tecnologico, come il paradosso di Moravec, per cui, per insegnare a un robot a compiere le azioni che farebbe un bimbo, occorre un apparato notevole. Ma è proprio sulla tecnologia che la storia si incentra, cercando di far riflettere sui rischi di una fusione estrema con l'Intelligenza Artificiale.
Buon lavoro di Johnstone, che a volte ricorda Kubrick, ma su attrici e attori, sceneggiatrice e regia, spicca la produzione e l'idea originale di James Wan, che da soggetti più atroci sembra derubare la Disney quanto a target. Infatti, anche se il film da noi è vietato ai minori di 14 anni - in America, invece, sotto i 6 anni - non ci sono scene per adulti ma per (quasi) tutti. 
Pure il discorso sulla presenza genitoriale, versus il facile babysitting fornito dall'elettronica, contribuisce ad estendere quello che sarebbe un incubo a una platea non di soli appassionati di horror - che pure non siamo pochi.
Si può osservare che il tema del robot malvagio non è nuovo, ma lo è il modo in cui è proposta la questione. Dove l'elettronica ormai spazia negli affetti - Gemma, la creatrice di Megan, infatti, è su Tinder e la bambola le rinfaccerà di avere solo la carriera come grande amore.
Sono passati quarant'anni da "Blade Runner" ma Megan affronta, proprio così, il pubblico, certo per fare cassa, eppure con un deciso richiamo al potere dell’informatica sulle nostre vite.

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