due fari bianchi nel buio

Quando ero ragazzo mi divertivo con poco, mi bastava uscire di casa per sentirmi libero e "respirante". A volte, soprattutto il sabato sera, mi piaceva prendere la mia Fiat Uno di quarta mano e perdermi, sì, proprio perdermi: prendevo una strada statale qualsiasi e mi dirigevo verso un paese il cui nome mi ispirasse per la sua originalità: Scaldasole, Trecate, Orzinuovi, Offlaga... Oppure se vedevo qualcosa che mi attirava cercavo di andarlo a vedere, che so, una campagna non malata come quella intorno a Milano, un'abbazia, cose così.
Col mio fido Patroclo - ebbene sì, sono uno di quegli animisti che dà un nome alle macchine - consultavo le mappe, naturalmente di carta a quei tempi e partivo, imboccando lo stereo con cd masterizzati pieni delle mie canzoni preferite.
Una sera tardi, mentre sono su uno stradone, intravedo una via di campagna che sembra incamminarsi verso le colline. Lussureggiante, amica di una roggia che la segue fedelmente, decido di prenderla. La strada è a doppio senso ma non vedo nessuno arrivare dall'altra parte e poi è lunghissima, non riesco a scorgerne la fine. Bene, mi dico, andiamo! Mi fermo appena lasciato lo stradone, collego i cavi della mega cassa sotto il sedile del navigatore, che il proprietario precedente aveva lasciato (odiatissima da chi si sedeva sopra quel delirio di Watt), mi apro una lattina di birra, metto il volume dello stereo al massimo e guido piano, in seconda, come una pattuglia ma della campagna. Fumo e mi godo una sciocca, breve sensazione di libertà. Però mi piace, e ripenso a come sta andando, senza papà, senza una fidanzata, ma sono vivo e forse non è poco. Dondolo tra malinconia e spensieratezza, godendomi la musica assordante.
All'improvviso qualcosa mi distrae. Nello specchietto sono comparsi due piccoli punti bianchi. Oh, un'altra auto, meglio che mi prepari a farmi superare. Controllo il retrovisore e mi rendo conto che i due punti si ingrossano velocemente. Non sono bravo coi numeri ma a naso direi che quell'auto stia andando parecchio forte. Mi spavento, neanche avessi Christine la macchina infernale o il tetro furgone di Jeepers Creepers alle mie spalle. Quando l'inseguitore è ormai vicino, dalla distanza tra i suoi fari capisco che si tratta pure di un grosso veicolo. Ok, cerco di non sbroccare: rallento ma non mi fermo, mi sposto il più possibile verso il bordo della strada e poso le dita sul freno a mano. Eccolo! Senza deviare né rallentare, un enorme catafalco nero si fionda nella mia scia, perciò sterzo, inchiodo e tiro il freno a mano, mentre per lo spostamento d'aria dell'energumeno di metallo, Patroclo ha un rollio da mare molto mosso. Sudo e ho freddo, i brividi, ma ho la sensazione che la ruota davanti a destra non stia toccando terra. Tolgo il freno e mi sposto delicatamente verso la strada, poi scendo e vado davanti: io e Patroclo ci guardiamo fissi negli occhi, sì, ero con la ruota sospesa sulla roggia e sì, hai ragione vecchio mio, quel bastardo poteva uccidermi, con quel suo Suv sparato a chissà quanto, e magari se la rideva pure, il vigliacco!
Torno alla portiera, apro e mi piego ad afferrare la lattina, che non si è rovesciata, alla fine il porta-bevande, che ho aggiunto alla dotazione dell'auto, è utile, già. Trangugio birra e tabacco appoggiato al cofano, facendomi coccolare dal calore del motore. Incredibilmente non sento collera, ma l'adrenalina che scende, la paura che pulsa ancora, mentre i miei occhi scrutano davanti, dove lo scellerato è sparito da tempo, ai lati, dove la campagna sembra dire "che vuoi, fai come noi, oscilla, in una dolce danza ventosa". Poi guardo indietro, non arriva nessuno, quella strada non la fa un cane.  Finisco la birra. Sono ancora vivo. Patroclo, portami a casa, per stasera ci siamo emozionati abbastanza, vero?...

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