papà...

Ho una profonda disperazione. A mezzanotte non mi ero neanche ricordato che è il mio compleanno. Incredibile scriptu, me ne sono reso conto vedendo il doodle di google che mi faceva gli auguri. Tecnologia, che mima bene un calore assente. Come fingere di parlare al cellulare o dire a un risponditore vocale "ti amo". Avrei dovuto premettere che sono più esaurito del solito.
Nato il 23 giugno, onomastico il 24. Ma è anche il giorno in cui morì mio padre. Sono passati 20 anni e dovrei avere solo una cicatrice. Invece sanguino, dagli occhi. Plasma incolore, sapido, doloroso. 
Ecco perché non ricordo volentieri il mio compleanno, tanto da rimuoverlo. E, tanto per ringraziare un dio, caso mai avesse il coraggio di esistere, Alba sta morendo. Merda! Ho amato un solo gatto così tanto, anche lui sparito presto. Troppo presto. Alba che riempie le giornate di mia madre, Alba che si fa rispettare dai nipoti più grandi ma ai piccoli non fa nulla, se ne va, perché sente che sono cuccioli. Alba che quando mi vede miagola forte quasi a dire "Ma dove minchia sei stato tutto questo tempo?!"
Un attimo di principio di piacere: non esiste l'Aids dei gatti, Alba vivrà. Come quando sogno che papà è vivo. Una volta dopo averlo visto in sonno mi alzo e quando vedo mia sorella le chiedo: "Dov'è papà?". Lei infuriata mi strilla: "Ma sei rincretinito? Papà è morto da dieci anni..." Principio di realtà: merda.
Tempo fa ascoltando "Ayrton" di Dalla mi sono chiesto perché, in fondo, non sapessi quasi nulla della sua morte. Poi ho visto la data, era quasi due mesi prima di mio padre. Una morte troppo vicina ha oscurato l'altra.
Era estate e, pur essendo una famiglia numerosa, eravamo rimasti in casa solo io e papà. Una mattina mi dà la sveglia, come sempre, ma mi avverte che mi chiamerà solo una volta, perché sta male. Corro e ogni tanto, al lavoro, ripenso a quell'attimo. Il presentimento è terribile, perché papà non ci mostrava il suo dolore fisico. Dopo la sua morte trovammo delle pillole per il cuore, non ci aveva mai detto nulla, della diagnosi, del farmaco. E infatti tornato a casa, non vuole assolutamente chiamare un medico. Per alcuni giorni lo assisto da solo, quando lo aiuto a issarsi in piedi appoggio la mia fronte alla sua. E' rovente, mi arresto così, qualche attimo, come se baciassi la sua mente con la mia. 
Tornati alcuni dei fratelli ci facciamo forza e papà si arrende. Il medico lo visita, gli fa un ECG e mentre compila il referto ha una pessima espressione.. Dice che ci vuole un ricovero urgente, assolutamente, ma non riesce a guardarci in faccia. Nessuno lo dice, ma capiamo che papà è spacciato. Lo sa anche lui, tanto che rifiuta di ricoverarsi, piagnucola che vuole morire a casa sua.
La mia 127 con la marmitta bucata assorda lo spiazzo del pronto soccorso. Papà ha messo il suo vestito migliore. Lo guardo prima di aiutarlo a scendere e vorrei una tegola dell'ospedale in testa (il che, tra l'altro, al San Carlo può capitare...). Un'infermiera mi viene a dire che lo ricoverano, ma mi rimprovera per il vestito che è stato faticoso togliere. Le rispondo che lui sa di morire. Smorfia poco convinta, svanisce.
Ci sono tanti significati che sono ritornati, che ho cercato senza nemmeno capirlo, dopo la morte di papà. Mia sorella che lo assiste da sola, sempre. Con buona pace degli infermieri, che certo non vogliono dover rischiare una meningite. E io poi ho lavorato come asa. Adoravo l'assistenza domiciliare, non avevo trovato altra risposta per chi decide di stare a casa propria, anche se gli resta solo di spirare. Fatico, ma persisto a lavorare coi senza dimora. Perché papà ne aiutava alcuni prima di sposarsi. 
Bene, male. Mi si dica pure che mi piango addosso, che questo blog è un inferno mattoide. Non me ne importa. La saracinesca abbassata di Incacchiatore è chiusa sulla felicità, sull'idea di amare, su tutto ciò che si potrebbe pensare renda stupendo vivere. A volte vengo qui, a buttare dadi di parole. Ma a 'sto giro escono solo numeri pessimi...

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