Lo sgambetto professionale

Sgambetto in Gubbio-Bassano dal blog di Giacomo Marinelli
Se dico che "ho un blog", assisto a reazioni molto tiepide, quasi di compatimento. Non me ne spiaccio, anzi, spesso ciò mi appare comicamente confortante. Ma se mi esce che di blog ne ho due, le risposte sono a feedback muto. Il senso di questo preludio è che queste righe sono la preparazione per altre sul post più "blasonato", sulla mia vita da precario.
Noto che sul lavoro "stupidi ma servi" fa avanzare più di "intelligenti ma consapevoli" , un risvolto è che quando si ha un po' di stoffa si subiscono degli sgambetti professionali, in molti lavori di massa in cui non è che si operi sui neutrini ma le competenze richieste sono... insomma, hai capito. L'ho visto sulla mia pelle ma non solo. E' triste, per me, quando accade in dimensione orizzontale, tra colleghi sullo stesso piano. La violenza interpretativa vede un voler fare le scarpe a chi magari è ammuffito nello stesso posto dal secolo scorso o quasi, mentre uno arrivato da meno ha fatto bene il suo. Ecco allora lo sgambetto, volto alla sopravvivenza dei matusa asburgici. Ricordo un fascistone che scoprii incidentalmente avermi definito "grillo". Lo lessi come un apprezzamento, sta proprio nella figura del tentato maestro di Pinocchio il senso di questo discorsuccio.
Saggezza. E chi ci vuole ad averne un briciolo? Il fascistone di cui sopra, per la cronaca, trombato alle elezioni - di sgambetti me ne fece più di uno. Anche per quello non mi dispiacque lasciare quel lavoro, dove eravamo assunti come operai e facevamo anche gli impiegati. Quanto ai suoi mezzucci, mi deluse che lui si fosse mostrato tanto amichevole da subito (baci di Giuda), ma io facevo il mio e il gap tra noi era chiaro: non ero solo più brillante, lasciamelo dire, di lui, ma avevo quel po' di etica di cui difettava.
La dimensione verticale però è più pericolosa: segnalo un errore madornale di qualcuno "sopra" di me, dopo aver agito per rimediarvi. Lo faccio come dovere, perché non si ripeta, per il bene della ditta che, suo malgrado, mi dà da vivere e che quindi, per mera sopravvivenza, non vorrei veder finir male. Per coprire la magagna, il tipo dall'alto mi accusa di aver sbagliato io, per un intervento personale urgente compiuto in decisione autonoma. Ingenuamente mi rivolgo al titolare, per capire dove avrei errato: possibile, no?, ma il "boss" mi spiega che ho fatto bene. In fondo lui non è così Caino e magari per il futuro non cercherà vendette, ma solo che le cose vadano fatte a puntino. Come piace farle a me: per quanto sappia di essere sfruttato, so che le persone che incontro ogni giorno non sono degli sfruttatori; non ho un censo e frequentazioni tali da incontrare i caporali, i boia che fanno soffrire noi uomini. E donne, certo, mi riferivo solo a Totò...