Uncontained (2025)

 Avevo detto che il cinema si riappropria delle proprie idee come quella di un'epidemia, tipicamente di zombie. Un po' come a dire, se proprio dovevate raccontare una favoletta su un virus letale, lasciate che a pitturarla siamo noi del mestiere.
Se questo può essere pur vero per un sottogenere ormai stantio, come quello dei non morti, è proprio da qui che viene un grido di dolore perché l'epidemia di qualche anno fa ha stremato, tra gli altri, il cinema, spingendo sui colossi dello streaming e quindi, me lo si lasci dire, all'isolamento sociale. Non a caso poi questi giganti vanno incontro a crisi, perché il feedback di recensioni e stupide stellette non illumina come il box office. Tanto per fare un esempio, il recente "Opus" è stato un fiasco e lo testimoniano proprio gli incassi, perché il pubblico ha annusato noia e zero horror.
Ma venendo al tema di questo articoletto, e scusandomi proprio con il film in questione, "Uncontained" è bel-lis-si-mo! E sarebbe da vedere in un cinema, sia per la fotografia che per la colonna sonora. Giostrato tutto intorno alla figura del protagonista, non riesco a non amare Morley Nelson. Già particolare per come sembri un nativo americano con le fattezze di un Bruce Lee, Nelson è il primo attore, regista, sceneggiatore e produttore di questo pregevole lavoro. E parlando di zombie, "Uncontained" frantuma il genere o meglio, lo eleva aggiungendo tinte di giallo: chi è il vagabondo? E dove sono i genitori dei bambini? E la figlia che il capo dei giustizieri cerca? 
Così una produzione indipendente, con un piccolo cast e una sola location funziona perché la narrazione deve essere convincente e questa lo è in modo sorprendente, con personaggi riuscitissimi a partire, appunto, dall'Uomo protagonista. 
Oltre al giallo, il film diventa etico perché sembra voler rimediare all'uso sfigurante dei bimbi negli horror perché di solito si pensa di far soldi martoriando creature per natura innocenti. E i due piccoli di "Uncontained" sono infatti molto se stessi, tanto è vero che quando guardano in camera in cerca di istruzioni su cosa fare, sono rassicuranti. Così come lo è tutto il film, che edifica speranza quando non ci si può sentire più sicuri, quando le certezze, simboleggiate dalla propria casa, che non lo è più, si polverizzano e resta solo da salvare il futuro: e cioè proprio i bimbi. E forse ora ascolteranno, i potenti, il nostro grido di dolore dopo averci fatti a pezzi, impoveriti, spinti a guerre e massacri e all'ignorare tutto questo sterminio, e così ritrovarci, se sopravviviamo. Perché questa, parafrasi delle ultime parole del film, è la speranza di fronte all'ottusità di chi ci vuole morti, dentro, e uno contro l'altro. Un messaggio potente, da una splendida produzione che nel salvare i bimbi sfruttati come mostri da troppi horror, indica nella cura per loro il bene comune.
Esagero? Io? O è forse chi comanda a farlo, nel massacrarci?
Un plauso anche alla musica, che se può apparire molto presente, lo fa in modo delizioso e i Chromosomes sono un duo che sa davvero confezionare colonne sonore, che si tratti di trasfigurare canzonette insulse come "Secrets" di Coco Quinn o di, appunto, seguire un racconto proprio come nel cinema muto, dove si suonava il piano per sopperire al silenzio, perché infatti "Uncontained" è pura immagine, avara di dialoghi. E quanto vorrei poter scaricare "The Star-Spangled Banner" nella versione di Malia Granite (ma non la trovo da nessuna parte!), un capolavoro nel capolavoro di un film emozionante, sublime, imperdibile.

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