Sicilian Vampire

Nelle peripezie in cui il genere horror viene rivitalizzato da inediti accoppiamenti, mancava quello con, addirittura, il dramma d'azione mafioso. L'unione s'è presentata con "Sicilian Vampire", diretto, prodotto, interpretato e musicato da un incredibile Frank D'Angelo, un imprenditore canadese dell'alimentare e della ristorazione che qualche anno fa ha deciso di darsi anche al cinema.
Ambientato in una New York dove la mafia fa affari ovunque, ha come protagonista Santo Trafficante, nomen omen, il che ha già un primo tratto d'accusa: la mafia traffica, in rifugiati, droga, armi, insomma qualsiasi cosa possa produrre denaro. Ma è anche un'imprenditoria scaltra, tanto che lo sceriffo alle calcagna del protagonista dice che gli dispiace solo che il gangster non paghi le tasse.
Tutto comincia quando un pipistrello morde Santino e lo trasforma in un vampiro. Incipit singolare, visto che tra le origini del virus di questo tempo si favoleggi proprio del morso di un pipistrello. La trama scorre poi lenta, tra tavolate di mafiosi intenti a mangiare, bere, raccontare barzellette e, soprattutto, trattare affari. L'ossessione tutta nostrana per il cibo, oltre al ramo di attività di D'Angelo, non è l'unica. Lungo tutto il racconto la musica non manca quasi mai, spaziando da Vivaldi a Casucci (Just a gigolo) e lo stesso D'Angelo. Latita invece il sole, sono poche le scene di giorno mentre la maggioranza sono al chiuso di case, locali e insomma in un'atmosfera molto scura, elegantemente tragica, come nel finale, dove il sole è metaforicamente al tramonto.
Il film ha avuto poche e non entusiaste recensioni. In Italia - e probabilmente anche altrove - non è mai arrivato, nonostante le origini di D'Angelo e il continuo ammiccare al nostro paese, tanto che diverse battute del film sono in italiano, anzi, in siciliano. Le critiche hanno liquidato il film come uno spreco di soldi e di attori. Io invece trovo che questa sia una piccola perla (nera). L'idea di accostare mafia e horror rimanda a molti significati impliciti, quali il fatto che la criminalità organizzata sia orribile. Succhia il sangue al mondo come un vampiro. Ossessionata dal senso della famiglia, ma nell'intrico di alleanze illegali, la mafia parrebbe eterna, come la vita che si appresta ad avere Santo, che non muore nemmeno dopo un agguato. Invece, e in questo il film sembra sognare, annichilito dall'amore che prova per la consorte, la figlia e, non ultimo, il padre che lo attende al cimitero, Santino sceglie di andare incontro alla sua scomparsa.
Chissà se saranno davvero atti d'amore a sconfiggere questo cancro internazionale, per cui non si può accusare la scelta del titolo per accostare la Sicilia, e quindi l'Italia, alla mafia: purtroppo questa è la più grande macchia del nostro paese. E, sotto sotto, mi domando se l'oscurità in cui è rimasto avvolto il film, non sia dovuta proprio al terrore, questo sì, per la potenza dirompente di un messaggio, a partire dall'idea che alla fine, un mafioso, sia un non vivo.

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