Upgrade

Sono sorpreso dalle (poche) critiche ad "Upgrade": chi lo definisce un B-movie, chi una scommessa mancata. A volte sospetto che le recensioni negative, di addetti ai lavori(?) e non, siano dovute alla mancanza di un lieto fine, quando la morale non sia stata addirittura un vero shock.
La trama di "Upgrade" fila, come un inseguimento tra auto, con una logica spietata. La stessa dei calcolatori, che se soffrono del paradosso di Moravec, per cui a livello motorio e percettivo un robot difficilmente avrà le abilità di un bimbo di un anno, in questa storia trovano un possibile riscatto.
Il film di Leigh Whannell ha riscosso soprattutto critiche positive. C'è anche un superamento del trito clichè della possessione che non è più demoniaca nè soprannaturale ma appunto robotica. Di body horror la storia del cinema è colma, a partire da "The blob" del '58. Ma "Upgrade" non è solo una storia ben congegnata e recitata, non si interroga solo sul potere delle intelligenze artificiali, che qui superano Moravec con uno stratagemma (il processore impiantato nel corpo, diventato così sua enorme periferica) ma sembra avvertire di un fatto, col suo finale inarrivabile: la dimensione affettiva non pertiene, e non sarà mai appannaggio delle "macchine". Al massimo, l'amore può diventare una sorta di Second Life, dove sbattere la mente umana a divertirsi. Per tenersi il corpo e realizzarsi così completamente. 
Cerco di non anticipare la trama, detesto farlo, ma mi piaceva riportare alcune intuizioni del film che per me sono state eccezionali. Da vedere e chissà, come dice qualcuno, che non sia stato davvero il miglior film del 2018... 

                                       "Un mondo finto è molto meno doloroso di quello reale".

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