ma cosa mi credevo

Non certo uno scrittore, assolutamente. Se mi è scappato qualche raccontino da queste parti, si è trattato soltanto di un gioco un po' diverso dal solito. Per fortuna, quando ammiro quelli veri, mi sento un beato, semplice lettore. Poi magari lo rifarò, ma appunto, nascondo le consuete parole che puzzano di angoscia. No, cosa mi credevo è l'ennesimo risveglio in un giorno d'inverno, di una stagione interminabile, senza le altre.
Buongiorno, questa casa non è tua. E prega di non essere cacciato via. Già, pensa se perdessi questi 20 metri quadri. Dopo anni di cambi (e qualche cantina, e qualche auto) mi ero abituato alla "tartaruga": portarmi lo stretto necessario, non più di una "macchinata". Ora invece torno ad accumulare, la tastiera pronta da suonare, la chitarra nell'armadio accordata, e libri stoviglie tessuti e armadi. Ma sono sempre in tempo, conosco un sacco di gente a cui regalare qualcosa. La cosa peggiore è che non riesco più ad aprire le persiane. Manco avessi 90 anni, o fossi in un covo di terroristi. Dai, domani magari le apro e fa' che non venga mai chi potrebbe sbattermi fuori.
Ben svegliato, cosa hai sognato? Incubi niente? Oh, be', ho "proiettato" un assistito, punta l'indice e dice che non so lavorare. Un SUV che mi sperona e distrugge l'auto, però esco vivo, freak, ma vivo. Un tizio che mi diagnostica un tumore al cervello e quasi non mi stupisco, eppure c'è stato un periodo in cui la mia testa mi piaceva. Però non sono sogni terrificanti, sono solo molto tristi. Incubi non ne faccio da molto, sarà che li ho di continuo. Ad occhi aperti.
Vai al lavoro? Beato te che ce l'hai. Sì, è meraviglioso. Non fosse che ormai lo faccio da anni di notte e ho gli orari rovesciati, colazione al pomeriggio, pranzo all'ora di cena (o dei licantropi). Poi posso sempre rimanere a piedi e questo satanico Job Act sa tanto di Spoon River. Lavorativamente parlando, ovvio. Tanto, gli ospizi non mancano. Per cambiare i pannoloni, mica metterli, è ancora presto dai!
Visto? Pensa se non studiavi, ora che facevi... Eh! Invece di avere due bei titoli arrotolati nell'armadio (Ma quale? Boh), farei come tutti quelli che mi surclassano, leccando, spiando, imponendo. In fondo, sono in burn out da anni. Solo che stavolta non gliela faccio, troppi bluff, non resta che perdere. Forse è tutto qui e i pezzi prima e dopo questo sono solo alibi.
Chissà quanto guadagni, poi piangi miseria! Be' sì, il fido è una bella invenzione, stare in rosso diventa un eufemismo. Bene o male sono anni che ogni mese qualcosa arriva. Dalla banca non mi telefonano più, non mi bloccano più quando mi restano meno di 100 euro. Carini no? Aveva ragione Brecht.
E la tua ragazza come sta? Oh, meravigliosa cortesia, non fosse che son nato quando la Carrà mostrava l'ombelico. Quanto al cuore, sta bene. Bello vuoto, un albergo chiuso per sempre. Pensare che l'ultima mi ha sempre detto che non ero un fidanzato, ero un... coabitante. Ma cosa mi aspettavo, io che ero ateo sull'argomento, giusto, dovevo trovare una più scettica di me.
Ma... guarda che combini! Sarai mica innamorato! No no, resto perfettamente agnostico in questo campo, è una bella droga illudersi, tanto fumo come un inceneritore, molto più facile che baciare. Ma poi perché dire un innamorato imbranato? Ancora questo abominevole concetto di incapacità. Vedi, mica l'ho inventato io, in realtà velatamente si assegna la frase al periodo giusto: quello dell'impossibilità. Cavoli, davvero, non c'è essere così meraviglioso come una donna che ti ama. Poi ti svegli e sei a Baggio, a suonare l'organo. Quanto a me, non gioco più. Non sto nemmeno in panchina. Sono seduto sulla tribuna dell'Ippodromo di San Siro, chiuso, pericolante, desolato e fangoso come il lido di Ostia una mattina di novembre di 40 anni fa. Per fortuna non c'è nessun cadavere, tanto meno il mio. 

Mi costituisco, tutto questo non vale molto. Fossi stato ricco, avrei scritto tante parole deliziose. Speranze abortite, di chi respirerà bieco cemento e asfalto senza cuore. Ma cosa mi credevo...

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