The Rule of Jenny Pen (2024)

 La realtà è spesso ben più terribile dei film horror e i luoghi concentrazionari sono terrificanti. Tra questi, metterei tranquillamente gli ospizi o case di riposo, o come le si vuol chiamare. Per questo, "The Rule of Jenny Pen" incute davvero paura. 
Tolto lo stile brit, i cronicari neozelandesi non sono tanto diversi dai nostri. Forse più formali ed eleganti, ma la sostanza non cambia, come la leggenda che vuole che essere puntati da un gatto significhi morte in arrivo.
Qui l'orrore non viene dal soprannaturale, ma da uno stalker, interpretato da John Litgow. Il film è anche una parabola sulla giustizia, perché il protagonista, incarnato dall’australiano Geoffrey Roy Rush, ha lavorato in una corte fino all'infarto che lo porta alla nursery home. Nella sua carriera ha peccato di arroganza ma qui deve capitolare, anche rispetto alla fede nella giustizia.
Il film è magistrale nel trasmettere angoscia ad ogni scena. Protagonista, più della morte, cara al filone horror, è la vecchiaia. Il lavoro di James Ashcroft è proprio mettere di fronte a un ineluttabile destino, dove corpo e mente si spengono lentamente. E si finisce col sentirla, quella disperazione, quell'essere messi da parte dalla società e trattati come deficienti con attività ricreative demenziali. In più, appunto, c'è il proprietario della stramaledetta bambola, Jenny Pen, che usa nel brutalizzare tutti gli altri ospiti.
Visto il tema, il film non è certo dinamico ma trovo che anche questa lentezza restituisca il ritmo dell'essere anziani. E deboli, specie se un pazzo furioso la fa franca e si può vendicare di essere stato un nessuno, mentre il giudice Mortensen era una personalità molto in vista.
Un film da vedere, e dopo, si avrà solo voglia di quei personaggi immaginari come zombie, vampiri e licantropi, che tutto sommato sono rassicuranti, nella loro onesta natura fittizia.

Commenti